Flaminia Morandi

Dalla maternità alla maternità

Come una madre va a scuola dell'amore vero dal proprio figlio

Lettera ad un'amica dopo la morte del fratello

Mi permetto di scriverti anche se rischio l'indiscrezione. Prendi le mie parole solo come il racconto puro e semplice di un'esperienza privata non estensibile ad altri. Anche se a me sembra che non sia così.

Alle madri che portano fisicamente in grembo un figlio e lo partoriscono è dato di vivere il corpo per ciò che esso è, un "terminale" spirituale. La sensazione di assoluta pienezza ‑ direi di onnipotenza ‑ che si prova nel tempo della gravi­danza è la consapevolezza che il corpo ‑ prima del cuore – ha di un'intesa alla pari, di una collaborazione concreta con il Datore della Vita. Molte altre volte durante la vita chi vive nel Signore sente davvero di lavorare in collaborazione con Lui; però è diverso sentirlo nella carne. Qualche volta non sappiamo bene "come" il corpo sia incluso nella vita spirituale. Ma quando si aspetta un bambino è molto chiaro come il corpo sia la parte più importante, ciò che una donna offre al Signore perché compia la sua opera. Credo che l'altra occasione grande di vivere qualcosa di simile capiti nella malattia, in certe sofferenze fisiche, al momento della morte. Quella dev'essere un'altra esperienza spirituale totale altrettanto sconvolgente di una gravidanza o di un parto.

Quando poi il figlio nasce e tu vedi che è una persona che ti sta davanti e non più dentro con la sua potenza, la madre prova un grande stupore, una grande gioia e una grande delusione.

Lo stupore è di essere stata partecipe di un'opera di cui non ha capito nulla, per quanto si possa essere informata sui libri scientifici e di psicologia. Un'opera in cui non ha fatto nulla, se non prestare il suo corpo e la sua possibilità ‑ grande o piccola ‑di amare. Questo stupore è dunque accompagnato dalla delusione di chi s'era illusa di un'onnipotenza inesistente e che invece era solo insipienza, piccolezza, assenza di meriti. Essa era solo un canale per far passare la vita e la storia di generazioni che non le appartengono e di cui non sa nulla, l'anello di una catena che le è stato chiesto di non interrompere. L'unico potere che aveva, capisce la madre, era appunto solo quello di sottrarsi a tutto questo.

La gioia è la gioia del nuovo, di un nuovo da fare, di un impegno che continua da secoli ma che ad ogni madre sembra che cominci con lei. Ogni madre crede davvero in assoluta buona fede che suo figlio è speciale e che è speciale il suo rapporto con lui, diverso da quello degli altri, unico.

Credo che questi tre sentimenti siano tutti e tre religiosi, ma il più religioso di tutti forse è lo stupore che testimonia la scoperta dell'Alterità. Una scoperta che è stato il corpo a permetterle di fare. E’ con questi tre sentimenti nel cuore che la madre comincia la vita con il nuovo bambino.

A questo punto deve fare i conti con un altro terribile sentimento: l'amore gratuito.

La madre credeva di conoscere l'amore. Non foss'altro per amore s'era sposata il padre del bambino. Credeva d'aver provato ‑ forse superato ‑ i tormenti dell'amore umano e dell'impotenza che lo accompagna, la constatazione che per quanto ci si possa unire carnalmente non ci si unisce davvero mai. Se non in Cristo. In Lui sì, come anche tu ed io adesso possiamo esserlo in Lui. Ma queste parole, "in Cristo” non tutti possono aggiungerle, quando si parla d'amore. E questo genera un'insopportabile sofferenza.

Ma anche una madre che ama suo figlio in Cristo è pur sempre una madre umana. La sua condizione comunque la conduce all'esperienza più struggente di tutte: la persona che era nel tuo corpo, che dolorosamente ne è uscita e che tu hai visto in faccia, ora è la persona che ami di più al mondo, che ha bisogno di tutto da te e a cui tu vuoi dare tutto ciò che hai. Ma quella creatura non solo non è tua: di più, sarà se stessa nella misura in cui tu la lascerai andare gradualmente lontano da te. Solo durante gli anni della prima infanzia ‑ l'epoca d'oro della maternità, l'epoca del "gioco delle bambole" però – alla madre è dato di illudersi per un po' dì essere fortemente unita in un rapporto scambievole con il figlio. Nel fondo del cuore sa bene che si tratta di un'illusione, anche se non tutte le madri sono disposte ad ammetterlo.

La madre del nuovo bambino ha appena finito di essere figlia e conosce bene la freddezza che accompagna il suo attuale rapporto con la propria madre. Le sembra impossibile essere stata protagonista di certi episodi di attaccamento che sua madre le racconta della sua infanzia; anzi, quasi se ne vergogna. Proprio perché è stata figlia e per quanto dica a se stessa: non farò come mia madre, la nuova madre si rende conto che di tutte le scoperte che il parto le ha fatto fare, una sola è la più autentica: che suo figlio non è suo. E' solo "come se" fosse suo.

Così la madre dolorosamente va da suo figlio alla scuola dell'amore gratuito. Giorno dopo giorno vive un grande amore per cui è disposta a fare tutto, sapendo che colui che essa ama così perdutamente non farà altrettanto. Di lui non le appartiene nulla. Lui le è stato dato, e proprio perchè le è stato dato, implicitamente le è "già" stato tolto. Con questo allenamento quotidiano, la madre carnale comincia a imparare ad essere un po' madre vera.

Le viene richiesto di morire un po' tutti i giorni e di accettare che ogni giorno di più quel figlio scompaia gradualmente dalla sua vita. Ogni passaggio di crescita della vita di suo figlio è un piccolo doloroso parto che fa nascere ogni volta un lui diverso che ogni volta si separa un po' da lei. Ogni volta significa ogni episodio insignificante, come il figlio che va a scuola, che intreccia relazioni intense con altri, che scopre la propria autonomia. Tutte cose normalissime che sembrano niente viste da fuori e che invece sono altrettante piccole ma continue sfide spirituali per una madre umana.

In questa avventura d'amore, madre e figlio crescono insieme. Ma mentre la crescita del figlio è fatta di conquiste e di nuove acquisizioni, la crescita della madre è fatta di ciò che essa lascia cadere. Desideri e aspirazioni, proiezioni, giochi delle somiglianze e consigli di buon senso svelano la propria inutile miseria di fronte all'espressione della nuova personalità.

La madre lascia cadere la tentazione di intervenire. Lascia cadere il bisogno di esprimere l'angoscia e la preoccupazione. Lascia cadere persino i pensieri “sul" figlio. Si lascia investire dall'ascolto del figlio che il suo cuore fa per lei. Nel cuore trova la certezza di un affidamento che le dà la luce per vedere, in suo figlio, la promessa di un destino che va oltre le sue paure.

La maternità per la madre, diventa un perenne esercizio spirituale nel rapporto con l'Alterità. Essa comprende che ciò che è richiesto da lei è lo sforzo di un distacco progressivo miracolosamente fuso all'amore sconfinato. Proprio perché c'è del miracoloso, la madre lo chiede appunto come un miracolo: la pace e il distacco per amare suo figlio come se fra lui e lei non ci fosse stato tutto ciò che di carnale di sconvolgente c'è stato. La madre s'abitua a convivere con il mistero che suo figlio rappresenta, un mistero nel quale, per quanto essa si sforzi di essere una buona madre, essa non c'entra affatto, nel bene e nel male.

La convivenza con queste piccole morti fa si che per tutta la vita la fantasia più incessante della madre è la morte di suo figlio. Non solo la sua morte materiale ma, l'altra, peggiore, che il figlio si perda, si distrugga. E' una possibilità non remota anche nelle migliori famiglie, fa parte del mistero della vita di ognuno che, per quanto figlio, anzi proprio perché figlio, fa toccare con mano alla madre quanto grande sia la sua inafferrabilità. Dunque la sua impotenza di madre.

La madre comprende che c'è una sola cosa che veramente le si chiede: di scomparire dalla vita del figlio come presenza psicologica e di ricomparire, con l'amore intatto, solo nel momento in cui ci sarà da accoglierlo per medicare le sue ferite.

Essa diventa come l'acrobata di un circo che si allena tutti i giorni a fare il triplo salto mortale. Quando poi arriva la sera della prima, egli lo fa con naturalezza, perché l'ha sempre fatto, da innumerevoli mesi. Egli ormai sa dominare ogni piccolo muscolo del corpo, perché di ognuno conosce la consistenza e la risposta.

Una madre si allena per anni a fare a meno di suo figlio, pur amandolo immensamente. Una sorella a volte impara ad amare faticosamente un fratello che non immagina mai di perdere. Questa è la vostra differente condizione, tua e di tua madre.

La facilità, abilità, naturalezza apparente di tua madre è frutto di un esercizio di dolore quotidiano che essa non può raccontare a nessuno, credo neppure a suo marito, neppure al padre, perché un padre neppure certe cose le sa. Forse il massimo della vita spirituale sono i piccoli gesti davanti alla tragedia. Per un altro è difficile capire, ad esempio, che ti muore un figlio e ti rendi conto, con meraviglia, che riesci a provar gioia per una bella giornata di sole. Sembra impossibile, eppure sai bene che per quella gioia che ti scalda un cuore pieno di dolore ci vogliono anni di amore sconfinato a fondo perduto, cioè anni di sofferenza, una sofferenza di cui la morte non cambia la qualità. Una sofferenza che trova la, sua pace solo nel riconoscere che la propria collaborazione di madre con Dio, non può finire nella banalità della morte.

Non per tutte le madri, i figli rappresentano un esercizio spirituale in carne ed ossa. Puoi riconoscere quelle che non accettano mai il mistero della loro collaborazione con il Creatore proprio dal fatto che reagiscono alla perdita di un figlio con un dolore ostinato ed esibito da cui sembra che nulla possa distrarle. Ma quel dolore li è un dolore d'amore o un dolore d'amor proprio? Così è quando una madre constata che il figlio che voleva perfetto invece non lo è: per cosa soffre e si dispera, per lui o per amor proprio, per orgoglio di maternità ferita?

Non so nulla, non ho perso sinora nessun figlio e spero che il Signore vorrà risparmiarmelo. Però ogni mattina quando mi sveglio e vedo che i miei figli sono tornati, dico ti ringrazio Signore che hai voluto che avessi ancora la gioia di ritrovarli. Però penso sempre anche: ma se domani non h trovo più, sarà davvero diversa o minore la gioia del mio risveglio?

Ti chiedo di perdonarmi per questa intrusione nella tua vita. Vedi, l'ho fatto per me stessa e non per te. Queste stesse cose potevo benissimo scriverle, se ne avevo l'urgenza, e tenerle per me. Invece questa fissazione di mettersi in comunicazione... quanto è in realtà un atto di egoismo? Dunque perdonami doppiamente.